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La caffettiera coi baffi

Originariamente la preparazione del caffè era un lungo rito e bisognava far bollire più volte l’infuso perchè depositasse la polvere sul fondo, ma quando nel 1933 Alfonso Bialetti inventò la caffettiera Moka trasformò l’arte di preparare il caffè in un gesto semplice e carico di passione, che presto diventò un rito irrinunciabile in ogni casa italiana.

Alfonso-Bialetti

L’origine del nome è dovuta alla città di Mokha nello Yemen, rinomata per la produzione di caffè arabico e la caffettiera Moka, icona del Made in Italy in tutto il mondo, è esposta nella collezione permanente del MoMa di New York con il suo design moderno e intramontabile: una forma ottagonale interamente in alluminio e con un manico in bachelite.

moma new york bialetti

Come nasce la caffettiera

Alfonso Bialetti ebbe l’intuizione osservando le donne che facevano il bucato sulle rive del lago d’Orta all’epoca in cui si usava un mastello con un fondo bucato e la cenere come sapone; questa posta in un contenitore faceva la schiuma quando l’acqua saliva nella parte superiore dove c’erano i panni. Così lui creò un oggetto di grande tecnica e funzionalità, con una base nella quale far bollire l’acqua, che risalendo andava in infusione con il caffè, prima di essere filtrata.

art moka moka-1963

Il successo della caffettiera fu dovuto al mix dell’intuizione dell’inventore con l’ambizione e la capacità di marketing del figlio Renato. Quest’ultimo puntò sul logo dell’omino coi baffi, caricatura di se stesso, e sulla forte campagna pubblicitaria che nel secondo dopoguerra era una novità.

moka bialetti omino coi baffi

 

Ostinato e determinato, credeva fortemente in questo progetto così un giorno, trovandosi con dei clienti per promuovere la nuova caffettiera, vide che questi erano perplessi e temeva di non riuscire a concludere la vendita. In quel momento passò Aristotele Onassis, con coraggio lo seguì, gli disse di essere un giovane imprenditore italiano e gli domandò di aiutarlo chiedendogli di dire che lui usava già la caffettiera. Onassis colpito dalla determinazione del giovane imprenditore, si avvicinò gli diede una pacca sulle spalle e disse: “Renato come va? Ma sai che non ho mai bevuto un caffè buono come quella della tua caffettiera?”. Fu l’inizio di una lunga storia!

moka bialetti omino coi baffi

CONFESSIONI DI UN CAFFEINOMANE

Riti e aromi della moka

di Fabio Pace

Lo devo ammettere. Amo il caffè, lo bevo a tutte le ore e in gran quantità. Sono tra i fortunati ai quali la caffeina non fa effetto (almeno per ora).
Dopo qualche tempo, molto amando il caffè del bar, mi sono dotato di macchina da caffè domestica, di quelle con le capsule. Certo, l’aroma del caffè sebbene prodotto dalla “pressione” che spinge l’acqua nella capsula non è come quello del bar, ma ci si avvicina (in verità è anche meglio di quello fatto in alcuni bar, ma questa è un’altra storia!).
Da qualche tempo, però, ho riscoperto il gusto di prepararmi la moka in casa. Inizialmente la mia è stata una scelta “ecologica”.
Mi sono chiesto, infatti, che fine facessero le capsule, che sono tutte in plastica e, mi risulta, non riciclabili. Non a caso si buttano nell’indifferenziata essendo impossibile conferirle con la plastica di bottiglie e involucri alimentari (è una plastica diversa dal PET).
Ho immaginato un futuro distopico (ma forse non troppo) con miliardi di capsule che invadono il nostro pianeta in ogni dove: nei boschi, a mare, per le strade, dentro le nostre case. Come fossero fastidiosi visitatori alieni.
Così sono tornato alla più rassicurante moka.

moka bialetti omino coi baffi

Prepararla è un rito i cui gesti scandiscono e mi restituiscono, soprattutto al mattino, tempi che la più moderna macchina con capsule aveva soppresso consegnandoli ai ritmi del lavoro: la giusta misura di acqua (chi dice appena sotto la valvola, altri appena sopra, io mi tengo rigorosamente e millimetricamente a metà); poi il tintinnante suono del filtro contro la camera di ebollizione dà inizio al suo riempimento.
Un cucchiaino dopo l’altro, senza premere la polvere di caffè (l’altra scuola di pensiero è di schiacciarla e comprimerla come al bar). Quindi si richiude con l’attenzione dovuta e via sul fuoco. Fiamma alta, poi si abbassa, si attende il primo borbottio.
Si contano pochi secondi, quattro o cinque al massimo e si toglie quasi subito dal fuoco se si vuole un caffè cremoso e con poca caffeina.
Si attendono i più rumorosi gorgoglii se si vuole un caffè meno pastoso e più ricco di caffeina.
Nell’uno e nell’altro caso l’aroma investe il senso dell’olfatto con una piacevolezza d’altri tempi. Quasi fosse un profumo del quale apprezzare le note di testa, le note di cuore e quelle di fondo.
Non mi convincono i cultori del 100% arabica, meglio forse la giusta miscela con la varietà robusta, comunque con una predominanza della prima.
Ogni volta che svuoto il filtro so di aver fatto un favore all’ambiente e il caffè mi sembra anche più buono, talvolta lo preferisco a quello del bar.
E come diceva il grande attore Nino Manfredi in una rèclame di una nota marca: «Il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è».

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